Abbandonare Psicoterapia

Abbandonare Psicoterapia

Quello dell’interruzione della Psicoterapia, o più comunemente da tutti chiamato “abbandono”, è uno dei dubbi che maggiormente impediscono, spesso, di autorizzarsi ad intraprendere un percorso terapeutico. Difatti, l’opinione comune, che vive più di passaparola che di informazione, è che una volta iniziato un ciclo di incontri poi si sia quasi vincolati a tempo indeterminato, o nella migliore delle ipotesi al giudizio dello Psicoterapeuta.

In realtà però non è assolutamente così, e qualora invece ci capitasse di vivere una situazione nella quale non sentirci liberi di scegliere se proseguire o meno il percorso di terapia, siamo di fronte ad un atteggiamento illegittimo e prevaricatore, dal quale non dobbiamo avere preoccupazioni nel prendere distanza.

Terapeuta e paziente difatti, sin dai momenti del primo contatto, persino telefonico, iniziano a conoscersi e, al netto degli obiettivi che si concorderà di raggiungere, scoprono incontro dopo incontro se sono buoni compagni di viaggio. Può accadere infatti che il/la terapeuta sia simpatico e accogliente, ma che nonostante i suoi sforzi a distanza di tempo non sia riuscito realmente a cogliere la natura della nostra difficoltà; oppure ancora, potrebbe accadere che sia tecnicamente preparato e molto efficace, ma umanamente abbia caratteristiche o modi di porsi che siano molto lontani dal nostro modello ideale di relazione. In entrambi i casi, è importante parlarne, serenamente e senza timore di giudizio o critica, perché la terapia vuole essere prima di tutto uno spazio nel quale sentirci liberi di esprimere idee, opinioni e sensazioni, nel rispetto reciproco.

Certamente, quello che accadrà se il terapeuta lavora con cura e coscienza, è rispettare e accogliere l’eventuale proposta di chiusura del paziente, ma approfondirla, e coglierne realmente i significati che ne stanno alla base e poi, qualora fosse una decisione definitiva, dirsi “arrivederci”.

Perché anche se la terapia si interrompe, il Terapeuta rimane comunque come figura di riferimento, magari per il mese successivo, o magari dopo 10 anni, ma c’è, pronto ad accogliere l’eventuale passo che il paziente potrebbe scegliere nuovamente di compiere. Per questo motivo, preferiamo parlare di interruzione e non di abbandono: perché nel secondo caso l’aspetto centrale, connaturato all’abbandono, è che c’è qualcuno che soffre la nostra scelta, in questo caso il terapeuta; mentre nell’interruzione, c’è la scelta volontaria e ragionata della persona di prendere una pausa, dalla quale può scegliere, se e quando lo riterrà opportuno, di ritornare.

Leggi anche: Psicologo on-line gratis