Una delle caratteristiche che maggiormente differenziano gli approcci Psicoterapeutici di nuova generazione, e in particolare la Terapia Cognitivo-Comportamentale, è quella degli esercizi, anche volgarmente chiamati “compiti a casa”. Ciò risponde ad una precisa impostazione metodologica secondo la quale, per la terapia cognitivo-comportamentale, il cambiamento non avviene esclusivamente nell’ora di seduta a settimana, ma soprattutto nel lavoro che il paziente è in grado di fare extra-seduta. Ovvero, tipicamente nell’ora di seduta, paziente e terapeuta discutono quelli che sono gli episodi più rilevanti accaduti al paziente durante la settimana ed insieme, attraverso un lavoro di ricostruzione e ri-significazione, arrivano a cogliere un tema guida. Fatto ciò, è importante che la consapevolezza guadagnata dal paziente in seduta non rimanga fine a sé stessa, ma venga esercitata, magari forzando schemi di comportamento altamente automatici che il paziente tende a mettere in atto e che, spesso, rappresentano la maggiore fonte di sofferenza. Proviamo a fare un esempio: un ragazzo lamenta di non avere amicizie di rilievo e, in terapia, riporta un episodio in cui la propria comitiva l’abbia invitato ad una partita di calcetto alla quale, per vergogna e paura di mostrarsi imbranato, si è rifiutato di partecipare. Il terapeuta aiuterà il ragazzo innanzitutto ad entrare in contatto proprio con questi sentimenti di vergogna, per poi provare insieme a storicizzarli, ovvero comprendere in quale altre occasioni abbia imparato a sentirsi imbranato, agli occhi di chi soprattutto, per restituire senso alla vergogna raccontata.
Fatto ciò, sarà importante chiedere al paziente: “senta Mario, abbiamo compreso che l’idea di partecipare ad una partita di calcetto da un lato la stimola e vorrebbe accettare, ma dall’altro è guidato da un’immagine di sé come imbranato che la porta a temere una vergogna che allo stato attuale sente di non saper gestire. Quindi ha imparato a proteggersi attraverso il rifiuto, ed evitando queste occasioni, lo capisco. Ma lei desidera giocare e desidera trascorrere tempo con i suoi amici; se la sente, durante questa settimana, qualora la invitassero nuovamente, di tentare anche solo per qualche secondo di rimandare la rinuncia e provare ad accettare? Non importa se ci riesce, importa che lei ci provi!”
Gli esercizi dunque, anche chiamati esperimenti comportamentali, hanno lo scopo di provare delicatamente ma progressivamente, di forzare consuetudini ed abitudini che il paziente ha.
In altre occasioni, invece, gli esercizi possono riguardare tecniche per la regolazione emotiva o dell’attenzione, mindfulness, ma anche lettere o promemoria da scrivere a sé stessi contenenti informazioni importanti che il paziente potrebbe sentire di aver acquisito e voler recuperare in un successivo momento di bisogno.
Gli esercizi, di qualsiasi natura essi siano, verranno sempre concordati tra terapeuta e paziente, e sia che vengano eseguiti, che no, rappresenteranno un’importante finestra sulla mente del paziente ed il suo modo di funzionare.