La rabbia nei bambini

La rabbia nei bambini

Mio figlio mi manca continuamente di rispetto capisce…? Non appena gli chiedo di fare qualcosa, o per i motivi più banali, si scaglia contro di me con una violenza inaudita, grida parole irripetibili… ho provato a calmarlo, ad abbracciarlo, ma mi ha dato un calcio…ha persino tentato di colpirmi lanciandomi contro il Joystick della Playstation… io non so questo figlio cos’abbia che non va…”

 

Questo è soltanto uno dei tanti spaccati di vita familiare che i genitori quotidianamente riportano. Un clima casalingo tossico, timore ed apprensione all’inizio di ogni giornata, vera paura delle mamme nel rimanere da sole con i propri figli, smarrimento dei papà nell’ascoltare le richieste di aiuto delle mogli e un grande dubbio: lo punisco o provo a farlo ragionare?


Il figlio agli occhi dei genitori smette di essere tale


Il risultato di questo impasto confuso è un figlio che agli occhi dei genitori smette di essere tale, diventa un corpo estraneo, quasi un’irascibile divinità da non indisporre ma piuttosto da pregare a distanza, magari da rabbonire attraverso continue concessioni che finiscono con l’ingabbiare l’autorevolezza genitoriale e l’equilibrio dell’intera famiglia.

 

– UN PROBLEMA ISOLATO? –

 

Fino ad una decina di anni fa era assai poco frequente venire a conoscenza di un simile problema all’interno di un sistema familiare. La riservatezza di ciascuna famiglia senza dubbio non esclude la possibilità che questo potesse ugualmente accadere tra le quattro mura domestiche, ma è una certezza che episodi di questo genere stiano vivendo una vera e propria impennata in epoca più recente.


Le cause di questa rabbia sono numerose ed il risultato di tanti fattori interagenti


Le cause della rabbia in bambini ed adolescenti sono numerose e non è semplice individuarne una su tutte, piuttosto risulta più opportuno considerare questo fenomeno come il risultato di tanti fattori interagenti; ad esempio, se da un lato in molti casi è possibile che vi sia una predisposizione “di fabbrica” da parte del bambino ad abbandonarsi a proteste rabbiose, dall’altro questa esplosività non può essere letta indipendentemente dai modelli educativi e di apprendimento ai quali è stato esposto sin dalla nascita. Un’educazione eccessivamente permissiva e transigente, il timore di esporre il proprio figlio/a alla frustrazione del “no”, la convinzione dell’esageratezza rispetto il porre limiti realistici, non vogliono essere una giustificazione ai comportamenti aggressivi, quanto una possibile chiave di lettura degli stessi.

 

 – “DOTTORE, MIO FIGLIO E’ MALATO?” –

 

Diventa di fondamentale importanza, allora, inquadrare correttamente i comportamenti del bambino/ragazzo, resistendo alla tentazione di etichettarlo come malato o difettoso. La rabbia non è una malattia ma un’emozione, quasi un antidoto, al quale il giovane ricorre per esprimere un disagio, familiare e non individuale, del quale non si era avuta consapevolezza prima d’ora. Spesso, la difficoltà di confrontarsi con un figlio reso irriconoscibile dalle proprie reazioni, porta il genitore a contattare un profondo senso di smarrimento ed impotenza, e va a nutrire l’ipotesi, erronea, che i farmaci potrebbero essere la soluzione a tutti i problemi.


Diventa importante resistere alla tentazione di etichettare il bambino/ragazzo come malato o difettoso


 

– QUALE SOLUZIONE? –

 

Fondamentale diventa sviluppare la consapevolezza che difficoltà di questo tipo hanno sempre un’origine familiare, mai esclusivamente individuale (nessun bambino nasce con una simile rabbia!), e come diventi necessario rendere evidenti le dinamiche relazionali sulle quali la famiglia, e quella rabbia, poggia.

Così, mentre il bambino potrà sperimentare uno spazio di condivisione nel quale scoprire le proprie fragilità dietro emozioni tanto intense, i genitori potranno essere accompagnati in un percorso di presa di consapevolezza rispetto il proprio ruolo nelle criticità del figlio.

 

 

“Anche una sola persona che, nella vita del bambino, gli offra un luogo dove possa essere riconosciuto e accettato, può avere un impatto profondo nel futuro del bambino”. (S. Riviere)

 

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