I miti sulla Psicologia

I miti sulla Psicologia

Nonostante una corposa letteratura a sostegno delle proprie teorie, la Psicologia continua ad essere guardata con sospetto e una punta di diffidenza da molte persone, arrivando a paragonare un colloquio o una consulenza con uno psicologo alla stregua di un “oroscopo” e niente più. La scarsa conoscenza della materia, unitamente ad una rappresentazione nell’immaginario comune filtrata attraverso film e voci di corridoio, ha contribuito a generare una grande quantità di falsi miti che hanno limitato, e limitano tutt’ora fortemente, la possibilità di concedersi intimamente l’autorizzazione a rivolgersi ad uno Psicologo.

Eccone dunque un breve inventario del quale abbiamo il piacere di proporre una visione sdrammatizzata ed alternativa; la speranza è quella di riuscire a rispondere ai più comuni dubbi che spesso e volentieri si frappongono tra la consapevolezza di una difficoltà e la richiesta di aiuto, perseguendo il vero ed unico obiettivo del nostro Centro e della Psicologia in generale: ripristinare il benessere.

  • “Dallo psicologo vanno i matti”

Probabilmente una delle convinzioni più radicate rispetto la figura dello Psicologo. L’essere “matti”, inteso come follia, è soltanto il polo estremo della dimensione che accomuna ciascun essere umano, e che potremmo definire “esame di realtà”, inteso come possesso di pensieri e comportamenti adeguati al contesto. Girare completamente nudi per strada a causa del caldo, non è un comportamento adeguato al contesto ad esempio. Il rapporto tra il “matto” e il paziente con flessione dell’umore per lo Psicologo, equivale a quello tra il paziente con fratture scomposte multiple e la distorsione alla caviglia di un altro per l’Ortopedico; sono poli opposti di un funzionamento comune, e nel quale la gravità dell’uno non toglie dignità all’altro. 

 

  • “La testa è la mia e mi curo da solo”

Vero ma non verissimo. Ognuno è per definizione il massimo esperto di sé stesso, e questo lo Psicologo accorto non lo dimentica mai. Tuttavia, spesso, non sono gli strumenti in nostro possesso ad essere insufficienti, quanto errata la visuale che abbiamo per poterne fare utilizzo. Questo perché ciascuno, più o meno consapevolmente, andrà sempre a protezione di sé stesso, e finirà con l’avere un quadro della situazione parziale che lo porterà ad intervenire “a braccio” sulle proprie difficoltà, purtroppo infruttuosamente. Lo Psicologo vuole essere quella porzione di campo visivo che il paziente non può avere, mettendolo nella condizione di valorizzare le proprie risorse, attraverso un lavoro di squadra.

D’altra parte, nessun parrucchiere può tagliarsi i capelli da sé.

 

  • “Questo appena parlo mi psicanalizza”

Quello dello “psicanalizzare” è un concetto piuttosto nebuloso, che spesso rimanda ad una tendenza presunta, da parte dello Psicologo, a dare significati profondi e chissà quanto elaborati ad ogni parola, inflessione di voce, movimento e starnuto. Lo psicologo ascolta sempre con interesse quanto il paziente propone, si domanda, tra sé, il significato delle parole e incuriosito, la propone al paziente.

Ogni conclusione è sempre il risultato di una riflessione a due tra terapeuta e paziente.

 

  • “Io sono io e sono diverso dagli altri: la stessa scienza non va bene per tutte le persone”

Molto giusto, nessuno di noi è davvero uguale a qualcun’altro, ma ad essere simili sono le esperienze e gli ambienti in cui viviamo. Lo Psicologo non possiede una teoria precotta su come funzioni l’essere umano, ma solo un modello teorico di riferimento attraverso il quale può formulare ipotesi circa la natura della sofferenza del paziente, qualunque essa sia. Per questo si lascia guidare dalla profonda convinzione che ogni paziente sia diverso, e dallo scopo di riconoscerne l’unicità. Ad essere “sbagliata” non è la scienza, tutt’al più il modello, e per questo Psicologo e Paziente si concedono sempre lo spazio di qualche colloquio preliminare per capire se sono l’un per l’altro buoni compagni di viaggio.

 

  • “La psicologia non è una scienza”

Questo assunto poteva essere ritenuto vero fino alla metà del secolo scorso, ma non più oggi. La Psicologia, da anni, si accompagna ad un’importante letteratura di riferimento e, ancor più, a numerosi dati statistici e sperimentali che ne confermano l’efficacia. Il professionista che lavora nell’ambito della Salute Mentale è in continuo aggiornamento, avendo premura di informarsi rispetto alle più recenti e validate ricerche del settore, in modo da offrire al paziente una conoscenza fresca ed attuale.

 

  • “Mo che cavolo c’entrano mia madre e mio padre”

La mamma è sempre la mamma, e il papà è sempre il papà. A prescindere dalla qualità della nostra infanzia e dalla specificità delle esperienze vissute, è dai nostri genitori che riceviamo quel particolare paio di occhiali attraverso il quale guardiamo il mondo. Lo Psicologo incoraggia il paziente a prenderne consapevolezza, ad esprimere emozioni e non condanne e, ancor più importante, a riappropriarsi della propria idea del mondo.

 

  • “Lo psicologo è di mezza età, pelato e con gli occhiali”

Fortunatamente no. Ancora no almeno. Questo identikit “Freudiano” è ancora la rappresentazione più tipica dello Psicologo, al punto che molti riconducono l’effettiva capacità del Terapeuta al possesso di queste caratteristiche. In realtà, lo Psicologo sa essere efficace anche a 35 anni, con un’acconciatura sobria e con le lenti a contatto.

 

  • “Lo psicologo non fa nulla che un buon amico non potrebbe fare”

Questa convinzione incarna perfettamente uno degli aspetti più terapeutici della relazione tra lo Psicologo e il Paziente, ovvero l’empatia e l’alleanza, e a tratti è persino vera. Tuttavia, ci sono diverse gradazioni di difficoltà e dunque diverse gradazioni di aiuto che un amico può fornire, oltre le quali più che una partecipazione sincera al dolore l’amico non può dare. Lo Psicologo è un alleato, empatico ma interiormente solido che porta con sé una “cassetta degli attrezzi” nella quale poter trovare la propria personale soluzione ai problemi.

 

  • “Lo psicologo non sa cosa si prova ad essere un paziente”

Lo Psicologo accorto e responsabile sa che non potrà mai compiere davvero bene il proprio lavoro se prima non avrà sperimentato cosa significhi essere “paziente”. Per questo, fedele all’assunto che spesso siano proprio gli psicologi ad avere i maggiori problemi, ogni professionista si concede ad un lavoro terapeutico individuale all’interno del quale guadagnare quella solidità che poi comunicherà ai propri di pazienti.

D’altra parte, nessun chirurgo opererebbe mai, senza aver prima visto operare.

 

  • “Se scelgo di abbandonare la terapia lo psicologo si arrabbierà”

L’obiettivo ultimo di ogni percorso terapeutico è che il paziente “abbandoni” la terapia, ovvero che sviluppi le risorse necessarie al sentire che è in grado di farsi carico da solo delle proprie difficoltà. Non esistono tempi prestabiliti o durate canoniche, e l’unico vero contratto che verrà stipulato tra le due parti andrà a riguardare gli obiettivi.

Può accadere, in ogni caso, che il paziente giudichi concluso un percorso che lo Psicologo invece ritenga incompleto, ma ciò diventa semplicemente oggetto di riflessione congiunta; lo Psicologo ha primariamente l’obiettivo di rispettare il vissuto del paziente, ed anche alla sospensione della relazione, tiene a rimanere una figura di riferimento alla quale può decidere in ogni momento di fare ritorno.